martedì 2 agosto 2016

Trucco Autunno Inverno 2016/2017: come replicare il makeup dell’Alta Moda









Il trucco dell’Autunno Inverno 2016/2017 è dilatato. Nello spazio (si appropria di angoli ampissimi) e nei colori (audacemente spalmati). Affiancata alla dilatazione delle prestazioni c’è l’esaltazione delle forme, esagerate e nette che celebrano lo sguardo come unico protagonista. Occhi indimenticabili quelli di Dior che per il makeup della collezione Haute Couture Autunno Inverno 2016/2017 ha esaltato gli sguardi «il più sofisticati e grafici possibili» come ha spiegato Peter Philips, creative director per Dior Make-up. «Ho voluto proporre variazioni diverse dello stesso concetto, customizzando il cat-eye completato nella sua versione più audace. Il focus è concentrato sulla silhouette, iper sensuale, armonica, insomma: indimenticabile».






La stessa scia seguita da Elie Saab che la propone in versione sussurrata, abbinando l’oro e il nero (i due colori di tendenza) appoggiati l’uno più sopra dell’altro nello stesso trucco occhi. Gold puro invece per Alberta Ferretti che spalma ombretti cremosi sulla palpebra mobile e oltre. Nero pece per Giorgio Armani Privé che vira al silver e poi ai toni più freddi dell’azzurro, concentrati nell’angolo esterno dell’occhio e sfumati (molto). Per un effetto smoky-eye appena accennato ma di grande impatto. L’outsider?Versace, che inverte la rotta e stravolge il trend occhi puntando tutto sulle labbra: bourgogne e glitterate. 


lunedì 1 agosto 2016

TENDENZE DENIM 2016. I JEANS CON ORLO A TAGLIO VIVO. I CONSIGLI DIY


Non è di certo una tendenza nuova (la abbiamo già vista durante l'estate scorsa), ma rimane 'cool': il jeans con l'orlo tagliato a vivo.
Non si può non notare che le fashionista scelgono - anche per la primavera 2016 - e ben volentieri dei jeans con orli grezzi, tagliati a vivo (leggi: cuciti a mano da noi stesse) oppure addirittura sfrangiati. Meglio ancora se gli orli contrastano con il resto del modello che veste 'da dio' e non mostra nemmeno un segno 'vintage'.
Anche la lunghezza di questo tipo di jeans segue delle regole ben precise. La tendenza vuole delle caviglie appena scoperte, a meno che non optiate per un orlo frangiato. In tal caso le caviglie devono essere semi-coperte dalle frange per un gioco vedo-non-vedo.
L'orlo tagliato a vivo è facilissimo da realizzare. Tirate fuori quei vecchi jeans dall'armadio e mettetevi al lavoro. Ricordatevi però che, prima di iniziare con le forbici, i jeans devono essere lavati almeno una volta perché tendono ad accorciarsi in lavatrice.
Per creare un orlo con le frange, stabilite la lunghezza e poi tagliate via l'orlo 'classico'. Per ottenere l'effetto 'frangiato', basta lavare i jeans (nuovamente) in lavatrice. Sarà lei a rendere l'orlo più grezzo. Per fermare l'effetto 'frange' invece fate una cucitura (meglio se a macchina) appena sopra le frange.
Sono molto trendy anche i jeans con l'orlo netto ma storto, come li abbiamo visti indossare alle sfilate. Per renderli ancora più sexy fate l'orlo appena più corto sul didietro (specie se avete delle belle caviglie) e indossatele con dei sandali alti.

MILANO, ROBERTO CAVALLI APRE LA SETTIMANA DELLA MODA UOMO


5 gennaio 2016 Archiviata l’89esima edizione del salone fiorentino Pitti Uomo, il testimone della moda passa  a Milano. Si è aperta oggi, infatti, nel capoluogo lombardo la fashion week dedicata alle collezioni maschili per il prossimo autunno inverno. Come sempre il calendario e’ fitto di appuntamenti: 39 sfilate, 45 presentazioni e 10 eventi per scoprire le novità del pret-a-porter proposte dalle principali maison italiane e non solo. Ad aprire la settimana della moda uomo di Milano  e’ stata la sfilata di Roberto Cavalli, con la prima collezione maschile firmata dallo stilista Peter Dundas per la maison. Lo stile e’ eccentrico, dettato da fantasie animalier, ricami ispirati all’Oriente, giochi di luce realizzati con lamé metallico e paillettes per un uomo dall’animo rock. I pantaloni sono leggermente scampanati, le giacche sono allungate, i cappotti e i montoni arrivano sotto il ginocchio, così come le pellicce. Gli accessori predominanti sono sciarpe e foulard: tutti rigorosamente lunghissimi. Ma non mancano borse a tracolla.
 Sabato 16 gennaio si entrerà nel vivo con le sfilate di Corneliani, Ermenegildo Zegna, Lucio Vanotti (il giovane designer selezionato da Giorgio Armani per sfilate nel suo quartier generale di via Bergognone) e Costume National. Nel pomeriggio tocchera’ a Marni, Jil Sander, Les Hommes, Neil Barrett. A seguire Pal Zileri, che torna a sfilare a Milano,  Versace e Philipp Plein. Bottega Veneta aprirà la giornata di domenica, seguita da N.21, Richmond, Salvatore Ferragamo nella ormai consueta sede di Piazza Affari. Quindi Calvin Klein, Vivienne Westwood, Missoni, Daks, Prada, Moncler Gamme Bleu e Damir Doma. Negli ultimi due giorni altri nomi di tutto rispetto come Diesel Black Gold, Emporio Armani, Antonio Marras, Etro, Msgm e Gucci. Ma anche Canali, Ermanno Scervino, Fendi, Marcelo Burlon County of Milan e Brioni. Come sempre l’evento di punta dell’ultima giornata della fashion week (il 19 gennaio) sarà la sfilata di Giorgio Armani. In programma, nello stesso giorno, anche le passerelle di  Dsquared2, Dirk Bikkembergs e Christian Pellizzari. Chiuderà l'inglese Helen Anthony, una new entry del calendario milanese. - See more at: http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Milano-Roberto-Cavalli-settimana-moda-uomo-fa8eb829-eb8b-4fd4-8c74-dc76d628ea2f.html

Roberto Cavalli volta pagina per un nuovo inizio

Un capitolo si chiude per Roberto Cavalli, un altro si apre. La griffe italiana di lusso ha voltato pagina alla Settimana della Moda di Milano, sabato scorso, sfilando per la prima volta senza Roberto Cavalli. Lo stilista fiorentino (74 anni) ha ceduto la scorsa primavera il marchio che ha fondato negli anni '70 del '900 al fondo d'investimento italiano Clessidra.


Gli è succeduto lo stilista norvegese Peter Dundas (ex Emilio Pucci), mentre un nuovo management guida la casa di moda. Azionista al 10%, Roberto Cavalli ricopre ora il ruolo di “consulente” e “guida spirituale”.

“Vogliamo rispettare l'immagine del marchio, rinnovandola. Non si tratta di sconvolgere tutto, ma di rafforzare il suo posizionamento nel segmento del lusso, dove è già forte, e soprattutto di riguadagnare del terreno, in particolare presso tutti quei clienti che l'hanno abbandonato nel corso degli anni. Si tratta di rinfrescare un brand che era un po' invecchiato”, ha spiegato a FashionMag il nuovo CEO Renato Semerari, a margine della sfilata.

In ogni caso, se volevano dare un segnale di rottura netta col passato, i nuovi proprietari del marchio sono riusciti nell'intento. Coi suoi capi facili e sportswear in denim, i leggings e gli abitini corti e stretti, la prima collezione di Roberto Cavalli by Peter Dundas, non ha mancato di provocare uno choc. Radicalmente ringiovanito e privato dei suoi abiti da sera glamour, il marchio sembrava irriconoscibile.


Una strategia intenzionalmente voluta dalla nuova direzione, come sottolinea pragmaticamente Renato Semerari: “Il rilancio passerà per due fasi. La prima consiste nel rafforzarci, dove già siamo presenti, dal punto di vista geografico, ma anche del prodotto. Finora c'erano soprattutto tanti abiti da sera. Completeremo invece l'offerta con più daywear”. C'è poi l'idea di rinfrescare anche le altre linee della Maison, da Just Cavalli a Cavalli Class.

In un secondo tempo, Roberto Cavalli passerà alla fase di espansione, soprattutto verso l'Asia, Cina in particolare, nazione nella quale con la prima linea può contare solamente su una boutique. Una fase rivolta però anche agli Stati Uniti, dove possiede 10 negozi monomarca. Questa fase espansiva interesserà anche i prodotti, con un focus sugli accessori.

“La sfida consiste nel rompere con il passato, rimanendo però coerenti con la storia e l'immagine della marca. Bisogna trovare il giusto equilibrio”, riassume Francesco Trapani, ex patron di Bulgari, oggi partner del fondo Clessidra e presidente del gruppo Cavalli.

La griffe toscana di lusso lo scorso anno ha registrato un fatturato di 209,4 milioni di euro, +4,2% sul 2013. Al 31 dicembre 2014, il numero totale di punti vendita monomarca (diretti e in franchising) del brand era di 190: 90 Roberto Cavalli (dei quali 41 in proprio), 54 Just Cavalli, 28 Cavalli Class e 17 Roberto Cavalli Junior.



venerdì 29 luglio 2016

Cosa pensa Giorgio Armani della moda di oggi


Chi conosce cosa accade nei primi minuti che seguono il termine di una sfilata di Giorgio Armani o, come la sottoscritta, ha comunque avuto la fortuna di registrare sin dagli albori - e quindi catalogare - tutto quell'insieme di meccanismi e riti immancabili che si intersecano nelle trame di una settimana della moda a Milano sa che il racconto che seguirà nelle prossime righe è esattamente IL rito - nonché una buona lezione per qualsiasi giovane giornalista di moda che voglia intraprendere questa carriera. Tra gli assiomi degli addetti ai lavori, quotidianiste in prima linea, c'è una scena che da decenni si articola così: l'ultimo look svanisce nel buio ed esce di scena. Silenzio. Musica. Il corteo finale di modelle, alcune di loro accompagnate come da tradizione anche dalla controparte maschile, compie l'ultimo giro di passerella. La musica svanisce di nuovo. Silenzio. Giorgio Armani compare dall'uscio sullo sfondo nero. Scruta la platea con sguardo fisso, ringrazia inchinandosi per l'applauso. Applaude anche lui il suo pubblico. E poi di nuovo vociare, è già tempo di riprendere l'inesorabile corsa verso il prossimo défilé.
Se si osserva però più attentamente, magari dall'ultima fila di sedute in alto sugli spalti dell'Armani/Teatro, si può scorgere un gruppetto che corre in direzione contraria alla corrente degli ospiti. Si muove con un flusso opposto al fiume di invitati che si dileguano già trafelati, prima di scomparire nuovamente nell'antro che porta dietro le quinte. C'è un piccolo buffet, una serie di sedute posizionate in fila come in attesa di uno spettacolo davanti a una sedia da ufficio, uno sfondo nero. Il Re entra e saluta come solo i veri gentlemen sanno fare quando devono accogliere un parterre principalmente femminile, pronto a porgli domande al vetriolo alle quali non ha il minimo timore di rispondere. «Quello che avete appena visto può piacere o no. Questo è tutto da sindacare, da valutare». La stessa sicurezza, la sua, di chi dopo oltre quarant'anni di carriera può ancora chiudere come quest'anno una settimana della moda come il padrone di casa quando congeda gli ospiti. Quando chiude la porta accompagnandola, si volta e lascia alle sue spalle il brusio. Rivestendo le proprie donne di gonne in vinile, stampe geometriche e grafismi per la collezione Emporio Armani, o avvolgendole per la linea Giorgio armani con strati di morbidissimo velluto nero, il tessuto che per lui ha «il potere di neutralizzare tutto, ideale per fare punto e a capo».
Da questo incontro dietro le quinte della sfilata Emporio Armani Autunno Inverno 2016/2017nasce la cronaca dell'Armani-pensiero sulla moda di oggi, perfetta continuazione di quello che rivelò a Marie Claire nel 2013 : «Il prossimo step? Rimescolare questi due concetti (l'aver regalato agli uomini la dolcezza a loro negata e alle donne la forza di cui avevano bisogno per il loro ruolo sociale, ndr) e trovare un punto di fusione: dopo l'antitesi, la sintesi di elementi che sono profondamente influenzati l'uno dall'altro». La sua visione nel 2016? Qui il suo racconto a proposito di omologazione, dei giovanilismi, della (non) voglia di vivere e di ciò che trova grottesco.

Sull'essere classici oggi. «A fine sfilata qualcuno mi ha detto: "com'è bella la tua collezione classica di oggi". Evidentemente non ha capito molto di quello che ha visto. La nuova collezione di Emporio, che voglio ricordare non essere la serie B della Giorgio Armani, coglie dalla strada gli elementi che sono un po' più spettacolari, evidenti ed evidenziabili, e con un gioco di grafismi che nascono dal digitale e dai suoi colori vuole raccontare in un modo coerente il mondo che viviamo adesso e che vivremo sempre di più. Ve lo spiego così: ho portato in passerella l'idea del classico attraverso l'evoluzione del mondo attuale. L'80% di questa collezione è fatta di capi che definisco "normali". Pantaloni morbidi, gonne che però non sono minigonne. Non c'è una ricerca spasmodica nella trasformazione estetica di un aspetto femminile. C'è la volontà di rendere plausibile e aggiornata, attraverso ad esempio i grafismi, una proposta di moda».

Sulla moda di oggi.
«Trovo che oggi ci sia una proposta che vuole essere a tutti i costi sexy e stravagante. Io toglierei da questo discorso "a tutti i costi". Io sono per lo stare più schisci, come si dice, perché oggi abbiamo anche bisogno che questi capi una volta arrivati in negozio trovino le acquirenti, non LA acquirente. Questo naturalmente non esclude il fatto che che una donna che compra una gonna a motivo geometrico poi non possa indossare sopra una giacca da uomo rigorosissima».
Sui giovanilismi, il ridicolo e il grottesco. 
«Il ridicolo è una cosa che ho sempre temuto. Magari lo sono stato anche io, a mio modo. Penso ai miei beige, senza mettere un colore per anni. Però tutto sommato questi beige li vedo ancora aleggiare nell'aria (sorride). Ridicolo per me è uno stampato particolarmente violento, la sovrapposizione di elementi che portano a una grande confusione. L'eccesso di volgarità voluta, la trovatina, le incongruenze di certi abbinamenti, ma anche il mettersi una scarpa che rende la caviglia grossa o una minigonna se per conformazione fisica non la si può indossare. Ci tengo a precisare comunque che oggi non sono le donne a essere ridicole, ma la proposte di moda a essere a volte ridicola. A me piace il gioco di recuperi, di una moda identificabile come giovane e destinata ai più giovani, che però viene adattata a persone che vogliono sentirsi tali senza essere, e lo ripeto alla noia, grottesche». 
Sulle donne nel 2016.
«Oggi c'è la donna che non ama la forma un po' più "violenta" di una proposta di moda, e quella che invece aspetta solo quello. Decidere quante siano le donne che la pensano in un modo oppure nell'altro è mortale. Oggi non è chiaro, non si capisce. Vedo delle signore anziane, sulla settantina, con il giubbotto in pelle con la zip, i leggins neri e le scarpe con il tacco alto. Hanno settant'anni, e così vanno anche al supermercato. Detto questo, si è detto tutto. Un tempo quella stessa donna indossava una gonnellina al ginocchio e tacchi bassi per paura di cadere. Adesso quelle stesse donne vogliono essere alla pari. Tanto di cappello. Perché devono essere relegate a un cliché che alla fine è un po' stantio? È il fattore democratico della moda di oggi». 

Sull'omologazione e sulla (non) voglia di vivere. 
«Durante il mio tragitto in macchina da via Borgonuovo a via Bergognone osservo sempre le ragazze e le donne alle fermate degli autobus. Sono tutte vestite uguali. Giubbotto imbottito, pantaloni stretti, scarpe con il tacco nero e grosso in pelle, un paio di occhiali scuri. Ci vuole un po' più di femminilità, la donna si deve distinguere dal buon operaio che va a sistemare la luce in un appartamento o ad aggiustare le rotaie dei tram. Per me questa è un'omologazione che riflette la non voglia di vivere, la voglia di esserci. Negli anni le donne hanno imparato a non seguire una corrente di moda in modo piatto, ma ad essere un po' più personali. È questo ciò che devono riacquistare».



Giorgio Armani: velluto per cancellare tutto

Lo stilista più longevo chiude la settimana della moda ripudiando i colori e concentrandosi soltanto sul velluto nero.  "Per me è il tessuto ideale per fare una sorta di punto a capo", commenta a pochi minuti dallo show




Dopo una settimana di moda a Milano piena di colori, proposte coraggiose e stili molto personali, Giorgio Armani cambia completamente traettoria e usa il velluto come fosse un buco nero spaziale dentro cui far sparire tutte le proposte viste finora e persino la luce stessa. Così, nel suo orizzonte degli eventi, ogni abito, ogni giacca, ogni pantalone riportano soltanto il velluto nero: materia duttile, scura eppure luminosa, "per me è il tessuto ideale per fare una sorta di punto a capo", commenta lo stilista. "Non credo nella fiera delle vanità e non mi interessan nemmeno dire che mi sono ispirato a quel libro o a quell'artista. L'estro di questa proposta arriva soltanto da una constatazione: dare un abito a chi entra nelle mie boutique. E poi mi piace il potere che ha il velluto di neutralizzare tutto. Penso ce ne sia bisogno in questo momento".
La collezione non lo smentisce: dalle proposte da giorno a quelle da sera, tutto ruota alle mille sfumature di nero che riesce a regalare. La parte più interessante è il finale, dove le lavorazioni dévoré, negli abiti da sera, si illuminano di ricami e si stagliano nella preziosità di ricami e intagli. "Sono molto contento per l'Oscar a Morricone", conclude lo stilista. "E sono ancora più contento per quello a Leonardo Di Caprio. Quest'attore e Cate Blanchett, per altro, erano vestiti da me: sono due icone che rispecchiano perfettamente il mio stile".

L'«Abaya collection» di D&G, il velo e le mode che cambiano la società

Ne parliamo con l'antropologa iraniana Sara Hejazi
Gli stilisti Dolce e Gabbana hanno lanciato recentemente una nuova collezione, la Abaya collection, che, rispetto a quanto avremmo potuto aspettarci, propone bellissime modelle molto vestite. Anzi, estremamente vestite. L'Abaya infatti è un tipo di velo, una tunica scura e lunga, usato soprattutto nella zona del Maghreb.
Nei paesi a maggioranza islamica ci sono molti tipi di velo. Dopo la guerra in Afghanistan è diventato famoso ilburqa, velo totalmente coprente che lascia alla donna la possibilità di vedere il mondo esclusivamente attraverso una rete posta ad altezza degli occhi; c'è il chador iraniano, che lascia scoperto l'ovale del volto; ilniqab che lascia scoperti soltanto gli occhi, usato prevalentemente in Arabia Saudita. E poi altri.
Dolce e Gabbana si sono ispirati a una tradizione locale del Maghreb, per proporre una collezione globale, laddove ormai il globale ha assimilato differenti tradizioni e abbigliamenti che la moda integra perfettamente ma che in Europa suscita ancora, nella migliore delle ipotesi, stupore.
Ce ne parla Sara Hejazi, antropologa iraniana.
Collezioni dedicate alla moda del mondo musulmano ce n'erano già state, ma questa proposta dal marchio D&G ha suscitato particolare scalpore. Secondo lei perché?
«Ha fatto particolare notizia perché l'Islam è al centro del dibattito pubblico, sia per le questioni legate ai migranti sia per il collegamento immediato al terrorismo. Non dico che sia giustificato ma nella percezione comune questo legame c'è.
Per l'Occidente è soprattutto la donna col velo a essere un'ossessione: fin dal '700 si è pensato che tutto quello che rappresenta il mondo arabo potesse essere sintetizzato dalle donne velate: l'altro per eccellenza, la diversità riscontrabile tangibilmente».
È cambiato il modo di vivere e indossare il velo?
«Sì, molto. Il velo ha una storia complessa e in evoluzione, ma forse il cambiamento più grande c'è stato negli ultimi 30 anni, cioè da quando è diventato un simbolo politico per dire “non sto né a occidente né a est con la Russia, ma sto con l'Islam”, fino a diventare, soprattutto per le seconde generazioni, un elemento di distinzione e di rivendicazione delle proprie radici al di fuori dell'Europa. Radici che non sono per forza tradizione ma anche qualcosa di innovativo. Questo lo si può riscontrare dal fatto che ci sono tantissimi tutorial su Youtube su come indossare il velo in modo chic, come decorarlo per esempio con pinze apposite create da stilisti musulmani. Ci sono spille, gioielli veri e propri che fanno da accessori per il velo.
Tempo fa ci si chiedeva se l'Islam fosse compatibile con lo stile di vita europeo, quasi come se fosse una realtà totalmente aliena, ma effettivamente in qualche modo questa religione è stata assorbita dall'Occidente, viene riproposta come qualcosa in cui ci si può identificare non solo spiritualmente ma in modo pratico: si può essere belli, si può essere alla moda compatibilmente con i precetti islamici».
Questo, all'interno della società, ha dato un nuovo senso al ruolo della donna?
«Il ruolo della donna sta cambiando nella società in generale: ad esempio in Arabia Saudita di recente le donne sono andate a votare per la prima volta nella storia. Le campagne per rendere più vicino qualcosa che si percepisce come estremamente distante rappresentano un cambiamento più forte per l'occidente che per qualunque altra cultura. L'islamico, l'islamica e in particolare la donna velata usati come manifesto pubblicitario da due stilisti come Dolce e Gabbana scioccano più l'Occidentale che il mondo islamico».
Una volta la provocazione stava nell'assenza di vestiti oggi è il velo la provocazione?
«Ora il velo fa notizia perché l'Islam è al centro del dibattito pubblico, ci si chiede come scindere i vari ambiti di questa cultura, la religione, la politica e la tradizione; cominciando a normalizzarne degli aspetti si arriverà, tra qualche anno, a non essere più “una notizia” ma semplicemente parte anche della tradizione occidentale, così come già lo è stato anche circa 2500 anni fa.
Nel mondo arabo invece, sono almeno venticinque anni che esiste un business di prodotti halal, permessi dalla legge islamica perché privi di grassi provenienti dal maiale e di alcool, prodotti da grandi marchi inglesi e francesi che riconoscono il mondo arabo come una fetta importante del mercato. Anche l'Ipercoop sta producendo linee halal per la parte musulmana degli italiani. Ci troviamo nel mondo globale e i prodotti e le persone circolano.
Oltretutto sono già tanti anni che gli arabi propongono sfilate di moda con il tema del velo. Sono quindi gli italiani, in generale gli europei che conoscono ancora poco della realtà islamica a stupirsi e, attraverso questa normalizzazione del velo, ad abituarsi a questo nuovo messaggio che sembra dire “L'Islam è cool”. Può forse essere interpretato anche come un messaggio contro la discriminazione che vivono gli immigrati di fede musulmana nei paesi europei».
Quello che ci stupisce di più è constatare come nell'islam ci sia una componente più frivola?
«Assolutamente si. Ci sono gli aspetti della bellezza e della cura che rafforzano l'idea che essere coperti non significa non essere belli, attraenti o non eleganti.
Si dice in antropologia che l'abito è sempre espressione di cultura. Forse l'Occidente, dopo aver spogliato e tolto i vestiti alle proprie modelle e ai propri modelli, è stufo. Sono evoluzioni che nella nostra cultura ci sono sempre state. Pensiamo alle patrizie romane che si coprivano per uscire ed erano sempre velate, poi alle mode del '700, quando il seno doveva essere visibile. Si va sempre verso delle evoluzioni.
In questo caso, io credo che il velo debba essere allontanato dall'idea di spiritualità, lo demistificherei nel senso che spesso più che di spiritualità si tratta proprio di identità, un concetto più forte nella nostra epoca.
Credo che oggigiorno parlare di velo voglia dire parlare di identità e di accettazione. In questo momento in cui si discute di scontri di civiltà, queste identità vengono fuori con più forza per affermare di essere presenti, di voler essere accettate e integrate e far parte di questa unica cultura che, secondo me, deve tutelare e non omologare le sue minoranze. Il mondo della moda se ne sta accorgendo più velocemente di noi».